La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) era un tempo una malattia mortale entro due-tre anni dalla diagnosi. La terapia con Imatinib e altri inibitori...
La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) era un tempo una malattia mortale entro due-tre anni dalla diagnosi. La terapia con Imatinib e altri inibitori...
Sono diversi i farmaci e i test a disposizione dei medici per valutare e curare la leucemia mieloide cronica (Lma). In Italia, ogni anno, si...
Avevano ormai perso le speranze i medici e i genitori di Julian, bambino inglese di 8 anni affetto da leucemia dall’età di 2. Il piccolo, invece, ha...
Da circa un mese i pazienti con leucemia mieloide acuta ricoverati presso la ASST di Monza, in particolare all’ospedale San Gerardo, avranno un’arma...
Leucemia, finalmente la cura definitiva
La FDA ha approvato il primo farmaco basato sulla terapia genica
Il farmaco Kymriah a base di tisagenlecleucel guarisce dalla leucemia linfoblastica. La sperimentazione del farmaco, effettuata su 63 pazienti, ha dimostrato un tasso di efficacia dopo tre mesi pari all'83%, quindi otto su 10 sono guariti. È la prima terapia a base di CAR T cell disponibile a livello mondiale. Ha una grave controindicazione: il prezzo di mezzo milione di dollari.
www.italiasalute.it/…
Il ferro è quantitativamente il metallo più importante del metabolismo umano. Viene utilizzato per il trasporto di ossigeno, come veicolo di...
Leucemia LINFATICA CRONICA
Che ruolo hanno i macrofagi nello sviluppo della leucemia linfatica cronica, il tumore del sangue più diffuso nel mondo occidentale?
Il team di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha dimostrato che la crescita e la disseminazione delle cellule leucemiche sono alimentate dai macrofagi, cellule del sistema immunitario normalmente deputate alla difesa dell’organismo dalle infezioni.
Lo studio, finanziato da AIRC - ha permesso di identificare inoltre strategie terapeutiche innovative che mirano a colpire l’interazione dei macrofagi con le cellule leucemiche.
Milano – 5 novembre 2015 – Oggi a Milano è stato presentato il percorso formativo nato nel quadro del Pro-getto EURICLEA dedicato alla creazione di...
La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) è una forma di leucemia caratterizzata dall’aumento eccezionale di cellule mieloidi nel midollo osseo e dall’accumulo anomarmale di cellule leucemiche nel sangue.
Ogni anno, negli Stati Uniti vengono diagnosticati circa 5mila nuovi casi di LMC, mentre in Europa si parla di circa 7mila nuovi pazienti nello stesso periodo. In futuro si prevede un aumento significativo della prevalenza, dettata dal fatto che sempre più pazienti, in particolare quelli trattati nella fase cronica della malattia, avranno aspettative di vita più lunghe grazie alle attuali terapie.
Il tratto genetico della LMC è il cromosoma Philadelphia, un’anomalia dettata dalla fusione dei geni BCR e ABL. Il cromosoma Philadelphia si forma quando due cromosomi si «rompono» e i rispettivi frammenti vengono ricombinati in maniera impropria. Questo fa sì che due geni – il gene BCR e il gene ABL – che sono normalmente separati, si uniscano, o si fondano.
Questa fusione determina la produzione da parte del midollo osseo dell’enzima anormale BCR-ABL, che, a sua volta attiva un segnale “ON” eccezionale che induce a una produzione eccessiva di granulociti, un tipo di globuli bianchi. E’ inoltre causa di un accumulo di granulociti immaturi o in fase di crescita e di cellule leucemiche immature chiamate blasti. Quando la malattia progredisce e diventa più severa, il numero di blasti può aumentare nel sangue e nel midollo osseo, riducendo così lo «spazio» a disposizione di globuli bianchi sani, globuli rossi e piastrine. Quando questo avviene, possono verificarsi infezioni, anemia o facile sanguinamento.
Il cromosoma Philadelphia non è ereditario e non viene trasmesso da genitore a figlio.
Fino al 50 per cento delle persone affette da LMC non presenta alcun sintomo al momento della diagnosi. Tuttavia, se evidenti, i sintomi della LMC possono includere:
Ci sono alcuni fattori che possono aumentare il rischio di sviluppare la LMC, ma, per la maggior parte dei pazienti, la ragione della malattia resta oscura.
La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) era un tempo una malattia mortale entro due-tre anni dalla diagnosi. La terapia con Imatinib e altri inibitori della proteina Bcr/Abl, causa della malattia, hanno talmente cambiato la prognosi della LMC che ora un paziente può avere un’aspettativa di vita normale.
Lo studio coordinato dal professor Carlo Gambacorti-Passerini, docente di Ematologia all’Università di Milano-Bicocca e direttore del reparto di Ematologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza, finanziato da AIRC e Regione Lombardia, ha ulteriormente avanzato la frontiera della terapia di questa malattia.
«In molti casi arriviamo dopo alcuni anni di terapia in una situazione in cui non c’è più nessun segno rilevabile della presenza della leucemia – afferma il professor Gambacorti-Passerini – e quindi non è semplice capire se il paziente vada trattato ulteriormente oppure no». Insieme ad altri 14 centri sparsi in Italia, Europa e in tutto il mondo, dal Canada ad Israele alla Corea del Sud, lo studio ISAV (Imatinib Stop And Validation) ha coinvolto 112 pazienti affetti da leucemia mieloide cronica senza segni rilevabili di malattia da almeno 18 mesi che avevano interrotto la terapia e sono stati strettamente monitorati successivamente. I risultati finali dello studio, ottenuti dopo quasi sette anni dall’inizio, sono stati presentati ieri al meeting della Società Americana di Ematologia (American Society of Hematology – ASH), il congresso ematologico di maggior rilevanza a livello internazionale, che si è appena tenuto a San Diego in California.
Circa la metà dei pazienti non ha dovuto riprendere la terapia con Imatinib, mentre nell’altra metà dei casi i pazienti hanno dimostrato un risveglio della malattia e quindi hanno dovuto riprendere la terapia: tutti i pazienti recidivati hanno comunque riottenuto una remissione della leucemia con la ripresa del trattamento e in nessun caso si è sviluppata resistenza al farmaco. «È importante notare – aggiunge Carlo Gambacorti-Passerini – che mentre la maggior parte di questi pazienti ha sviluppato recidiva entro sette-otto mesi dall’interruzione della terapia, in alcuni casi ciò è avvenuto dopo anni, in un caso dopo quasi cinque anni».
Dall’analisi dei dati è emerso che il rischio di recidiva è maggiore nei pazienti giovani, con meno di 45 anni di età. Questo risultato apre nuove prospettive di studio, al fine di comprendere quali siano i meccanismi sottostanti alla recidiva o al mantenimento della remissione della malattia nei diversi pazienti. Infatti anche molti dei pazienti non recidivati hanno mostrato saltuari test positivi per la presenza di cellule leucemiche, che si sono tuttavia auto-eliminate col tempo e senza la reintroduzione di Imatinib.
«Da un punto di vista pratico è molto rilevante sapere che alcuni pazienti affetti da LMC possono in effetti sospendere la terapia e che la loro percentuale è pari a circa il 20-25 per cento del totale – conclude Gambacorti-Passerini – ma è altrettanto importante ricordare che la presenza di cellule leucemiche deve essere monitorata in ogni caso per diversi anni dopo la sospensione del trattamento».