Vicina uccisa ad accettate: possibile condizione patologica

Lunedì, 31 Luglio 2023

Un uomo di 48 anni uccide la vicina di 63 a colpi di accetta davanti casa, mentre il figlio e la madre della vittima assistevano. Poi si costituisce ai carabinieri che durante la ricostruzione hanno evidenziato accese discussioni pregresse.

 

3 domande allo psichiatra Enrico Zanalda, Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense
1. Quanto è premeditata la scelta di un omicidio come questo?
“Dalla descrizione disponibile dei fatti, non credo si possa parlare "certamente" di premeditazione. Sembra di poter interpretare i fatti come il raggiungimento di una condizione di esasperazione per perduranti dispute di vicinato da parte di entrambe le persone coinvolte. Tuttavia per arrivare a un'azione così drammatica da parte del reo, è probabile che vi sia una condizione di patologia mentale che andrà accertata o esclusa dall'autorità giudiziaria. Per esperienza posso dire che i reati tra i vicini di casa, così come quelli intrafamiliari più frequentemente sono commessi da persone con disturbi mentali”.

2. Quanto è indicativa la scelta dell’arma del delitto? Perché l’accetta?
“Sulla scelta dell'arma influisce la situazione logistica ovvero quello che in quel momento risulta facilmente accessibile al reo. Essendo delle case di campagna o comunque con possibili attrezzi agricoli, l'accetta è senz'altro uno dei più micidiali. Bisognerebbe comunque conoscere meglio le abitudini di vita e la condizione abitativa del reo, oltre a porgli la domanda direttamente. Se invece si fosse procurato l'accetta appositamente per quello scopo la situazione è completamente diversa”.

3. Quali saranno le ripercussioni sui testimoni?
“Sicuramente drammatiche. Aver assistito impotenti a una scena così tragica a scapito di una persona a cui sono affettivamente molto legati è un trauma psichico rilevantissimo che condizionerà il loro benessere molto a lungo. Il trauma è maggiore di quello che avrebbero avuto se fosse stato un incidente stradale con lo stesso esito. Il fatto che sia l'esito di un'azione compiuta da un altro essere umano aggrava notevolmente l'entità del trauma. Aumenta il rimorso di aver perduto il congiunto per non avere compreso prima che il fatto potesse avvenire. Inconsapevolmente viene vissuta come una situazione più prevedibile e prevenibile di un incidente, oltre alla rabbia rivendicativa che genera nei confronti del reo”.

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Autore

Sperelli

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